(Seconda parte)
di Enrico Simonato
Rapporto con il sacro attraverso le emozioni
La Sindone richiama ogni anno a Torino grandi folle, e non solo durante le Ostensioni. Basta pensare ai numerosi pellegrini che si fermano davanti alla cappella della Sindone nel Duomo di Torino, dove possono vedere solo un sarcofago chiuso dietro una vetrata. Incredibile ma vero, sono oltre 500.000 all’anno. Colpisce anche l’assenza di ex-voto: cosa spinge così tante persone a recarsi in un luogo dove, apparentemente, non c’è nulla da vedere né grazie da chiedere? Cosa cercano?

Fig. 2. Fedeli in preghiera davanti alla Sindone nel Duomo di Torino.
Per molti, l’incontro con la figura di Gesù è innanzitutto un incontro con un Volto. L’aspetto fisico di Gesù ha sempre suscitato curiosità, data l’enorme influenza che la sua vita ha avuto sulla storia dell’umanità. Eppure, i Vangeli non forniscono alcuna descrizione dettagliata del suo aspetto. Ricordiamo che il tradimento di Gesù avviene tramite un gesto concordato: Giuda, per indicarlo alle guardie, dice loro: «Quello che bacerò, è lui». Questo dettaglio ci suggerisce che Gesù era certamente noto ma non riconoscibile nella Galilea del I secolo: poteva essere magro, corpulento, glabro o persino calvo, e nessuno avrebbe saputo identificarlo. Non esistevano immagini, ritratti o descrizioni.
Eppure, nell’animo del fedele rimane il desiderio profondo di dare un volto al Dio che si è fatto uomo. Dal Dio misterioso che, nell’Antico Testamento, si manifesta nel roveto ardente e invita Mosè a voltarsi per non morire alla sua vista, si passa con l’Incarnazione al Dio che assume un volto umano in Gesù. Questo passaggio fondamentale, discusso anche nel Concilio di Nicea del 787, legittima l’uso delle immagini per rappresentare il Cristo.
La Sindone diventa così un segno di memoria, una sorta di “tomba” che permette di mantenere vivo il legame con Gesù. Non è solo un ricordo, ma un simbolo che unisce passato e presente in un legame emotivo profondo, simile a quella «corrispondenza d’amorosi sensi» che Foscolo ne I Sepolcri attribuisce alle sepolture. La Sindone rappresenta, inoltre, una sorta di “immortalità terrena”, riflettendo il desiderio dell’uomo di andare oltre la morte attraverso un segno visibile della propria esistenza, che resista al tempo. In questo senso, acquista un valore sacro, simbolo di attesa e speranza nella resurrezione.
Per molti, la Sindone è anche un aiuto nell’elaborazione del lutto. Davanti ad essa, il dolore e la perdita possono essere vissuti, espressi e trasformati. Diventa uno spazio simbolico in cui il dialogo tra vita e morte, memoria e oblio, si intreccia, rispondendo al bisogno umano di dare senso a ciò che sta oltre la vita terrena.
La Sindone segno della Risurrezione. La ragione non spiega tutto
Ma la Sindone non è solo un oggetto di studio o di culto. È profondamente legata alla figura di Gesù di Nazareth, senza la quale perderebbe il significato che le attribuiamo. Come ha detto un importante teologo contemporaneo: «Senza Cristo, la Sindone semplicemente non esisterebbe». Questo legame intrinseco ne fa un segno importante per la Chiesa e per i credenti, che trovano in essa un simbolo tangibile capace di spiegare e rendere più accessibili i grandi misteri della fede, in particolare quello della Risurrezione. (“vide le bende … e il sudario, […] e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti” Gv 20,6-9).
Il cardinale Pizzaballa, nell’omelia del 4 maggio 2024 nel Duomo di Torino, ha sottolineato: «La Sindone ci riporta alla Gerusalemme di duemila anni fa, ma ci accompagna anche fino ai giorni nostri. È un segno che ci interroga e ci invita a vivere la Risurrezione non solo con parole, ma con la vita stessa. Non basta riconoscere la realtà storica della Risurrezione: dobbiamo anche interrogarci su cosa significhi essere figli della Risurrezione e come tradurlo nella nostra quotidianità».

Fig. 3. Il cardinale Pizzaballa a Torino per la festa della Sindone, 4 maggio 2024. © «La Voce e il Tempo».
Anche il cardinale Repole ha ribadito che «la Sindone rappresenta una sfida per la nostra intelligenza, spingendoci a riflettere su questioni profonde come il senso della vita, la morte, il male e l’amore. La scienza può e deve fare la sua parte, ma esistono verità più profonde, che non possono essere indagate solo con metodi scientifici. La Sindone parla della passione, morte e risurrezione di Gesù in modo unico, toccando le domande fondamentali dell’esistenza umana».
Per questo, la Sindone non è solo un segno storico o religioso, ma un simbolo che continua a interrogare, ispirare e avvicinare. Non spiega la risurrezione, ma è un segno che permette di entrare nel suo mistero, offrendo un punto di contatto tra la realtà terrena e quella trascendente.
Infine, c’è chi considera la Sindone una reliquia della passione di Cristo, la più significativa, perché impressa della sua effigie e del suo sangue. Eppure, la Chiesa non si è mai espressa ufficialmente in merito, lasciando spazio a un approccio che riconosce nella Sindone un valore universale e profondo, capace di parlare a credenti e non credenti. Come ha affermato san Giovanni Paolo II, è uno “specchio del Vangelo”, unico per le sue potenzialità spirituali e pastorali, ma anche per l’interesse intellettuale che continua a suscitare.
Anche chi la considera un falso o una falsificazione non può fare a meno di parlarne, dedicando studi e risorse per dimostrarne l’origine, senza però giungere a certezze. Questo continuo interesse, in fondo, non fa che confermare il fascino unico di un’immagine e di un segno che la Provvidenza ha voluto lasciarci.
A seguire nella prossima edizione
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